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di Davide Donelli
Gli appunti che vorrei proporre alla vostra attenzione sono il frutto del lavoro 
  svolto conducendo due distinti corsi di aggiornamento e formazione, il primo 
  specificamente destinato a insegnanti di chitarra, il secondo a insegnanti di 
  strumento di una scuola di musica che opera nell' hinterland milanese. 
  Il diverso contesto e la diversa utenza cui questi corsi fanno riferimento mi 
  hanno portato, unitamente alla mia personale esperienza didattica, a rivedere 
  più volte le considerazioni, gli spunti e le citazioni che presenterò, 
  considerandole per molti aspetti rappresentative delle difficoltà con 
  cui gli insegnanti di strumento devono al giorno d'oggi misurarsi. 
  In questo intervento cercherò di esporre idee e riflessioni comuni a 
  diversi momenti disciplinari: attività svolte non solo in lezioni di 
  strumento individuali e collettive, ma anche in corsi di alfabetizzazione musicale, 
  la teoria musicale per intenderci, attività di propedeutica musicale 
  e strumentale destinate anche ad allievi adulti, infine laboratori di espressione 
  corporea, recitazione e quanto altro possa venire proposto agli allievi. Gli 
  appunti che seguono nascono dal personale confronto con allievi e insegnanti 
  di strutture didattiche idealmente proiettate verso un modello di scuola che 
  forse la riforma riuscirà a creare, ma certamente dalla mia esperienza 
  ho potuto appurare che già esistono nel nostro paese in contesti privati, 
  associativi e cooperativi, meno ufficiali ma altrettanto fertili.
Giochi a specchio e ad eco
  Mi risulta difficile pensare a una lezione di strumento in cui l'insegnante 
  non suoni in prima persona, non faccia esemplificazioni pratiche con lo strumento. 
  Mi risulta altrettanto difficile immaginare un percorso finalizzato all'apprendimento 
  di una tecnica strumentale in cui non si ricorra all'uso della vista e dell'udito 
  per osservare, ascoltare, ripetere, riprodurre movimenti e suoni proposti dall'insegnante. 
  
  Non saprei dire quanto è diffuso l'insegnamento per imitazione, forse 
  è pratica "popolare", fra amici, per dilettanti, riservata 
  ad analfabeti ed orecchianti. Forse sarà anche così ma di certo, 
  alternata con altre modalità trasmissive, ha il vantaggio di mettere 
  in luce aspetti salienti della pratica strumentale e vocale che sfuggono ad 
  una semplice lettura della notazione. Osservare ascoltare ripetere verificare 
  con la vista e con l'udito sono capacità da sviluppare costantemente, 
  fin dalle primissime lezioni e anche solo a livello intuitivo. Una modalità 
  di conduzione della lezione a specchio può spesso facilitare l'acquisizione 
  di posture, gestualità e coordinamenti, alle volte anche complessi. Quasi 
  un gioco di specchi e di echi che permette correzioni e aggiustamenti in tempo 
  reale.
  A pensarci bene i verbi ripetere e imitare non sono poi tanto positivi, c'è 
  implicita una certa passività, forse anche un po' di superficialità; 
  tra l'altro è interessante che il loro abbinamento sia piuttosto naturale: 
  ripetere per imitazione, imitare ripetendo. Sembra quasi che vogliano dire la 
  stessa cosa ma vedremo comunque che non è così. In ambito didattico 
  rimandano ad una attività ben precisa: ripetere in eco, dopo il maestro, 
  cellule o frasi ritmiche e melodiche, con la voce, col corpo o con uno strumento. 
  E' un approccio, una modalità trasmissiva tipica di molte culture popolari, 
  anche della nostra . Ritengo che questa pratica non vada limitata all'ambito 
  della cosiddetta propedeutica strumentale, tanto meno solo con bambini. 
  Nella mia esperienza di allievo ho avuto sempre la fortuna di vedere realizzato 
  questo gioco di specchi e di echi, ma mi risulta che non sempre sia così. 
  Se da un lato immagino e spero che tutto ciò possa apparire ai più 
  ovvio e scontato, dall'altro ritengo sia utile porre l'attenzione sul tema dell'imitazione 
  e della ripetizione nella didattica strumentale, approfondendolo dal punto di 
  vista metodologico. Comincerei quindi da una domanda: quanto tempo dedichiamo 
  nelle nostre lezioni a fare ascoltare e osservare come si suona? Come integriamo 
  tale prassi con le altre attività formative quali la teoria musicale 
  e la musica d'insieme?
Preludio alla tecnica strumentale
  Attività di ecoritmica ed ecomelodica sono presenti in molti testi di 
  educazione musicale ma, vista la prospettiva strumentale di questo intervento, 
  vorrei soffermare l'attenzione in particolare sul lavoro di Carl Orff. E' risaputo 
  infatti che fra le didattiche storiche quella orffiana è la più 
  strumentale, ossia più di altre prende in considerazione l'atto esecutivo, 
  con un approccio tanto felice da consentire ancora oggi la diffusione dello 
  strumentario che porta il suo nome, e da suggerire un possibile percorso di 
  avvicinamento, scoperta ed esplorazione del mondo strumentale.
  Punto di congiunzione fra le molteplici attività di educazione musicale 
  tout court e la pratica strumentale è stato, nella mia esperienza di 
  insegnante, l'utilizzo del gesto- suono, preludio a qualsiasi tecnica strumentale.
  Battiti di mano, colpi di piede, schiocchi di dita e pacche sulle gambe coordinano 
  a 2 3 4 voci timbri e ritmi, costituendo un solido fondamento per lo sviluppo 
  di capacità percettive e produttive. Anche solo limitandosi all'utilizzo 
  di mani e piedi, o delle mani destra e sinistra, i risultati a due voci permettono 
  lo sviluppo di coordinamenti motorii e quindi del pensiero polifonico tali da 
  introdurre senza soluzione di continuità alla musica di insieme.
  Vorrei aprire una breve parentesi facendo riferimento a un testo di Paul Hindemith 
  troppo poco citato, forse anche poco consultato, che presenta fin dalle prime 
  pagine esercizi di lettura ed esecuzione a due voci: Teoria musicale e solfeggio 
  
  Spesso mi domando per quale ragione in conservatorio non ci abbiano fatto usare 
  un testo tanto importante o perché nessun insegnante abbia mai pensato 
  di sviluppare nei primi livelli di studio i validi criteri presentati da Hindemith. 
  Egli infatti sviluppò il suo testo in modo poco funzionale alla didattica 
  di base, giungendo in pochi capitoli a un livello di difficoltà medio-alta. 
  Ultimamente sento molti colleghi lamentarsi della mancanza di testi che accompagnino 
  l'allievo alla pratica di insieme, penso che il problema non sia quello di trovare 
  materiali già "riveduti e corretti" bensì di sperimentare 
  e definire le modalità con cui condurre attività di questo tipo: 
  rivedere e assimilare il lavoro di questi due didatti contribuirebbe non poco 
  a rifondare in Italia l'insegnamento della musica, sia nella teoria che nella 
  pratica strumentale.
  Detto questo mi sembra che la valenza del gesto-suono in riferimento alla tecnica 
  strumentale sia da non trascurare. Le combinazioni di gesti semplici, come ho 
  già detto, sono il naturale preludio ad ogni tecnica strumentale, sia 
  nel risveglio di una corporeità un po' trascurata, sia nell'attivazione 
  e sviluppo delle capacità ritmiche, dinamiche, timbriche. Trovare un 
  percorso che colleghi questi due mondi ancora lontani nella pratica didattica 
  è stato al centro del mio lavoro in questi ultimi anni, sia come insegnante 
  di strumento (chitarra) che come insegnante in corsi e laboratori finalizzati 
  tanto alla alfabetizzazione di base quanto alla musica di insieme. Mi convinco 
  sempre più che gli antichi steccati fra teoria e pratica dovrebbero gradualmente 
  cadere e si dovrebbe giungere a fondere metodiche, materiali ed esperienze. 
Isolamenti
  Per proseguire queste mie considerazioni vorrei ora entrare in un campo non 
  propriamente musicale, quello mimico-gestuale, dal quale desumere una tecnica 
  essenziale anche per noi musicisti: l'isolamento.
  Secondo la tecnica del mimo compiere un isolamento significa muovere una parte 
  specifica del corpo in una determinata direzione, con un ritmo preciso, senza 
  coinvolgere le altre parti del corpo. Nell'arte del mimo esistono diversi tipi 
  di isolamento: le rotazioni, le inclinazioni e le traslazioni. Proviamo a immaginare 
  quali isolamenti sono possibili sul nostro strumento, e soprattutto quali sono 
  indispensabili per suonare, quali sono tecnicamente utili per un migliore controllo 
  muscolare e di conseguenza espressivo. Pensiamo non solo a quali è bene 
  che l'allievo affronti già nelle prime lezioni, ma anche per quali conviene 
  attendere una impostazione più solida. 
  Stiamo parlando dell'acquisizione di schemi motori, gestualità, dello 
  sviluppo di capacità senso motorie proprie di ciascuna tecnica strumentale. 
  Da questo punto di vista mi verrebbe da dire che non c'è niente di nuovo 
  sotto il sole. Secondo me però i metodi pubblicati prendono in considerazione 
  il singolo gesto, ma scusatemi il gioco di parole, proprio dal punto di vista 
  metodologico essi sono piuttosto aridi e dimostrano tutta la propria carenza. 
  Voglio dire che non è sufficiente riempire questi testi con una infinità 
  di esercizi tecnici preparatori senza suggerire una metodologia più musicale, 
  ossia più rispondente alla reale pratica strumentale. Tra l'altro mi 
  convinco sempre più della necessità di evitare la lettura di tali 
  esercizi nelle prime fasi di studio, per focalizzare l'attenzione dell'allievo 
  esclusivamente sul suono e sul movimento. Mi spiego meglio. Alle volte con alcuni 
  allievi torna più utile insegnare ciascuno schema motorio tramite l'imitazione 
  e la ripetizione ad eco, e dopo che ha riprodotto anche solo in modo intuitivo 
  quel gesto strumentale, cominciare a farlo annotare tramite la scrittura: innanzitutto 
  perché lo possa successivamente ripetere nello studio a casa, inoltre 
  per una migliore comprensione dello stesso. Spesso risulta più utile 
  fare scrivere tali esercizi, e non solo farli leggere. Scrivere è una 
  attività che rende più consapevoli di quanto non comporti la lettura, 
  quest'ultima a volte si rivela un po' superficiale. Mi risulta che vi sia una 
  minor verifica dell'effettiva assimilazione e comprensione dell'attività 
  svolta. La notazione utile per annotare quanto già assimilato sul piano 
  esecutivo non è solo quella tradizionale, ben vengano altre modalità 
  centrate di volta in volta su diversi parametri musicali e/o tecnico strumentali 
  . 
  Spesso si tende a ripetere minuziosamente sempre lo stesso percorso didattico, 
  invece non dovrebbe esistere un unico iter: si può partire dalla esecuzione 
  per arrivare alla scrittura/annotazione, dall'ascolto al riconoscimento per 
  lettura, dall'ascolto alla ripetizione estemporanea vocale e/o strumentale. 
  Senza dimenticare che la memorizzazione può trovare spazio fin dalle 
  prime lezioni di strumento. 
Ostinatamente 
  Parlare di ripetizione in musica porta inevitabilmente a parlare dell'ostinato. 
  L'ostinato in campo didattico ha spesso una funzione negativa: se imposto come 
  formula musicale prestabilita, da imparare ed eseguire tale e quale, ma in questo 
  caso forse siamo in presenza di un semplice addestramento. Altrimenti, se presentato 
  non solo come esercizio tecnico strumentale ma anche come esercizio linguistico, 
  ha una grande potenzialità formativa, del pensiero musicale prima ancora 
  che delle abilità strumentali. L'ostinato può diventare uno spunto 
  di esplorazione e di invenzione, può consentire delle variabili di scelta, 
  di rielaborazione, di variazione, di appropriazione personalizzata, insomma 
  può fungere da supporto per una ulteriore invenzione. 
  L'esecuzione di un ostinato sullo strumento è espressione di pura istintività 
  ritmica e in una prima fase non dovrebbe essere praticato a partire da modelli 
  musicali ma da modelli di coordinamento motorio. Occorre semplicemente indirizzare 
  sullo strumento un impulso motorio , soggetto a variazioni che ne tramutano 
  il carattere musicale. Il risultato musicale e le sue successive trasformazioni 
  derivano dal carattere del gesto e del movimento e non ancora da scelte musicali. 
  Lo stretto rapporto causa-effetto che passa fra gesto preordinato e suono stimola 
  una valutazione consapevole dell'evento sonoro, inconsapevolmente ottenuto, 
  e quindi una sua acquisizione almeno in parte razionale. Siamo ovviamente nell'ambito 
  di una didattica strumentale di base, ma mi piace sottolineare la complessità 
  della materia, che nulla ha da invidiare al mondo del concertismo e dell'alto 
  perfezionamento.
Impulso e intenzione
  E' venuto ora il momento per una breve digressione nel mondo della recitazione 
  e del teatro: riprenderò infatti alcuni tratti del pensiero e dell'esperienza 
  di Grotowski, attore e regista polacco che conobbe sia Stanislavskij sia Jacques-Dalcroze, 
  che ci possono dare conferme e specificazioni sul concetto di impulso a cui 
  si è fatto riferimento poco fa:
"Prima di una piccola azione fisica c'è l'impulso. Qui è il segreto di qualcosa di molto difficile da captare perché l'impulso è una reazione che comincia sotto la pelle e che è visibile solo quando è diventato una piccola azione. L'impulso è così complesso che non si può dire che appartenga alla sfera unicamente corporea"
"E ora cos'è l'impulso? In / pulso - spingere dall'interno. Gli impulsi precedono le azioni, sempre. Allora, gli impulsi: è come se l'azione fisica, ancora invisibile all'esterno, fosse già nata nel corpo. E' questo l'impulso."
Qualcosa che spinge dall'interno del corpo e si estende fuori verso la periferia; qualcosa di molto sottile, nato "dentro il corpo". Ad esso è collegato il concetto di giusta tensione, infatti un impulso appare in tensione, ha una propria intenzionalità e la parola intenzione (in-tensione) contiene proprio questi due elementi. Grotowski parla di azioni fisiche riferendosi al proprio ambito di ricerca, per noi l'azione fisica è l'atto del suonare, in esso allo stesso modo degli attori non c'è intenzione senza una mobilitazione muscolare adatta. Importante sottolineare come non sia uno stato psicologico ma qualcosa che passa nel corpo a livello muscolare, che è connesso a un obiettivo fuori di te.
"Non è affatto vero che l'attore deve essere solo ben rilassato. Molti attori fanno una quantità enorme di esercizi di rilassamento. E quando sono sul palcoscenico, hanno due reazioni fatali: una reazione è che immediatamente diventano del tutto contratti. Vuol dire: prima di cominciare si rilassano, ma quando si trovano di fronte alla difficoltà si contraggono. L'altra reazione è che diventano come uno straccio, astenici, psicastenici sul palcoscenico. Il processo della vita è un alternarsi di contrazione / decontrazione. Allora il punto non è solo contrarre o solo decontrarre, ma trovare questo fiume, questo flusso, in cui quello che è necessario è contratto quello che non è necessario è rilassato."
Non deve sorprenderci la corrispondenza fra mondi espressivi che vivono in 
  ambienti vicini, affini e che hanno come comune denominatore il momento della 
  performance, dell'incontro con il pubblico, della comunicazione con gli altri. 
  Certamente mi sembra che quanto affermato nella citazione possa essere condiviso 
  da cantanti, strumentisti, allievi ed insegnanti, concertisti e non.
  
  Pigrizia interiore
  "Ricordo che una volta B. cominciò a improvvisare, era incredibile, 
  io ridevo e ridevo. Stava facendo un vecchio che aveva visto suonare la fisarmonica 
  nel suo villaggio. B. non suonava la fisarmonica, ma si ricordava del modo di 
  muoversi del vecchio con lo strumento e cantava la musica della fisarmonica. 
  Quando la vidi per la prima volta, questa proposta era così leggera! 
  Vidi davvero il vecchio splendere attraverso di lui. Poi, quando gli domandai 
  di ripetere. La sua linea di azioni divenne immediatamente meccanica. Cantò 
  la stessa melodia della fisarmonica, ma la canzone ora non risuonava come prima. 
  Tutto diventava più generale. La prima volta la linea di azioni era ricca 
  e dettagliata, ma quando provò a ripeterla la specificità si perdeva. 
  Eravamo di fronte alla nostra comune debolezza: la discesa dovuta alla pigrizia 
  interiore.(…) 
  Per padroneggiare un qualunque mestiere si deve sviluppare la capacità 
  di superare e sfondare questa pigrizia interiore." 
Questo avviene sia quando facciamo un puro e semplice riscaldamento o apprendiamo 
  una nuova gestualità, sia quando perfezioniamo una sequenza di schemi 
  motorii o sviluppiamo un coordinamento. Il tutto alla luce di una esecuzione 
  che sia espressiva e non solo corretta nei movimenti essenziali ma scavi dentro 
  al brano.
  Il problema della stanchezza dovuta alla ripetizione è molto importante: 
  come è possibile rendere sempre nuova l'esecuzione? 
"G. mi disse che quando Stanislavskij aveva analizzato questo pericolo, si era accorto che quando un attore conosce bene una partitura di azioni fisiche, per impedirle di decadere, col passare del tempo deve frazionare la stessa partitura in azioni più piccole. Invece di lasciare che si semplifichi, che diventi più generica, deve lavorare nella direzione opposta: rendere la linea di azioni più dettagliata. Più un attore ripete una linea di azioni fisiche, più deve dividere ogni azione in azioni più piccole: ogni azione deve diventare più complessa."
Dalla globalità dell'esperienza percettiva alla particolarità 
  della comprensione analitica si potrebbe dire: analizzare ed estrapolare ciascun 
  gesto strumentale inserendolo in un sequenza più complessa ed articolata, 
  per poi tornare nuovamente ai mattoni primi, agli elementi di partenza, ancor 
  più assimilati e perfezionati. Lavorare con elementi primari, quasi matrici 
  ritmiche, melodiche e armoniche dettate dalla gestualità di ciascuno 
  strumento (ma anche dal repertorio didattico e non) che abbiano però 
  una minima valenza semantica. Ecco quindi nascere un esercizio non più 
  ripetitivo, arido, avulso dal contesto, ma linguistico, in cui affrontare prime 
  esperienze di costruzione musicale: manipolando gli elementi senso motorii e 
  linguistici di cui si dispone in operazioni di giustapposizione, combinazione, 
  commutazione e variazione. 
  E' mia convinzione che l'insegnamento di uno strumento possa trarre giovamento 
  soprattutto se posto in continua relazione con altre attività musicali 
  e intorno alla musica che l'allievo, così come l'insegnante, svolge: 
  occorre per prima cosa superare il concetto di lezione di strumento tout court 
  per introdursi in un'ottica più ampia, tipica di scuole di musica con 
  molteplici proposte formative e ricreative, con una equipe di insegnanti polivalenti 
  e aperti al confronto. Occorre che l'insegnante di strumento non si arrocchi 
  dentro la specificità della sua tecnica, senz'altro indispensabile e 
  preziosa, per avventurarsi a svolgere attività alfabetizzanti, motorie, 
  d'ascolto e, perché no, socializzanti.
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